Hawkeye e i musical che non devono essere nominati

Ammettiamolo, togliendo quei tre di noi che hanno sempre provato un’innata simpatia per Hawkeye, questa serie a lui dedicata su Disney+ non ha esattamente creato altissime aspettative. Dopotutto, parti con Wanda e Vision che sono gli Sweethearts di tutta la baracca, continui con Sam e Bucky in pieno stile Buddy Movie e dai a tutti la botta finale con Loki che, oggettivamente, potrebbe fare qualsiasi cosa e per il pubblico sarebbe comunque eroe nazionale; è normale che quando poi arrivi il Robin Hood del XXI secolo o il Legolas della Non Terra di Mezzo (che non è manco un elfo per ravvivare le cose) la reazione generale sia abbastanza tiepidina, come veder passare un’astronave aliena e poi l’Helicarrier con Nick Fury.

Hawkeye, però, riesce subito a trovare una sua identità, mettendo sul cammino di Clint Burton l’intraprendente, ma un po’ frenetica, Kate Bishop, arciere a sua volta e grande fan di Occhio di Falco dopo essere stata salvata da lui durante la Battaglia di New York. É lei che, senza volerlo, riporta l’attenzione del mondo criminale su Ronin, costringendo Clint a interrompere i festeggiamenti natalizi con la sua famiglia e intervenire per salvarle la vita.

La serie è allo stesso tempo una guida su come diventare un supereroe e un reality check sulle conseguenze di scegliere questa linea di professione. Non a caso l’inizio del primo episodio mostra Barton andare con i figli a vedere Rogers – The Musical, una versione super romanzata della battaglia di New York, e uscirne incredibilmente a disagio, se non addirittura disgustato. Kate, all’inizio, è l’incarnazione di questa visione tutta rose e fiori dell’essere eroe e questo la rende incredibilmente vulnerabile. Clint non è il suo mentore perché le insegna come usare arco e frecce, lei sa già farlo fin troppo bene; è il suo mentore perché la mette di fronte alla realtà, non filtrata dal sensazionalismo. Il bello di questa serie è che è costituita da sei episodi in cui Occhio di Falco urla al mondo, in grassetto e sottolineato:

È una storia che scava ben più a fondo dei film per mostrarci che gli eroi che veneriamo sono vulnerabili e fallaci e che le scelte che fanno hanno ripercussioni a lungo termine che si estendono ben oltre i titoli di coda: corpo e mente si deteriorarono e quando pensi che sia arrivato il momento di appendere l’arco al chiodo e goderti la pensione, ecco che il passato viene a sfondare la porta. Ad acuire tutto ciò, la serie fa i conti con i sensi di colpa che attanagliano il protagonista e la ferita ancora aperta per la morte di Natasha, che la presenza di Kate, che farebbe di tutto per essere la nuova partner di Occhio di Falco, fa tornare a sanguinare. In questa ragazzina che lo venera, Clint vede riflesse tutte le persone che sente di aver deluso e questo mette in moto un primordiale istinto protettivo.

Hawkeye è la serie Marvel che funziona di più tra quelle proposte fino ad ora: ha sicuramente la struttura più convenzionale, ma è anche quella che ha trovato la sua dimensione ed è riuscita a mantenere il focus sulla storia dal primo episodio all’ultimo, senza alti e bassi e momenti di stasi. Le altre serie del MCU sono partite sicuramente con obiettivi meno semplicistici, ma si sono spesso incagliate in problemi per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi e il ritmo della storia; anche WandaVision, che vanta sicuramente l’approccio più originale, esce sconfitta dal confronto perché spesso succube della forma scelta per raccontare la storia, che a tratti diventa fine a se stessa. Lo spettatore si fa cullare dalla familiarità dei temi di formazione e redenzione e in questo Hawkeye cattura il vero spirito di ogni film di Natale che abbiamo amato e forse è nel caldo abbraccio con cui avvolge i fan della Marvel che va a nascondersi il suo successo.

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