Encanto – It’s so Lin-Manuel Miranda it hurts

Non importa chi siamo, da dove veniamo e quanti anni abbiamo: a Natale i film d’animazione sono una tradizione, che va onorata e che porta con se una serie di rituali da seguire meticolosamente. Qui in redazione abbiamo tutte le nostre tradizioni in materia (un gran classico per me sono gli Aristogatti, a cui negli ultimi anni si è aggiunto Big Hero 6 per piangere tutte le lacrime dell’anno appena trascorso), ma questo Natale siamo state contentissime di aggiungere ai nostri must-watch delle feste il nuovo arrivato in casa Disney: Encanto.

Portato da Babbo Topolino su Disney+ il 24 Dicembre, il film racconta dei Madrigal che, nel cuore della Colombia, fanno prosperare un piccolo villaggio nascosto tra i monti. Tutti i membri della famiglia, guidati da Abuela Alma, vivono in una casita molto speciale, dotata, in un certo senso, di volontà propria, e hanno a loro volta dei poteri. Tutti, tranne Mirabel che, nel giorno in cui suo cugino Antonio sviluppa il dono di comunicare con gli animali, resta l’unica senza alcuna capacità straordinaria. La stabilità della famiglia viene, però, presto messa alla prova, quando la casa e i poteri magici cominciano ad indebolirsi.

Nel momento in cui il dono che l’intera famiglia condivide vacilla, vengono in superficie anche tutte le crepe in un nucleo familiare solo apparentemente perfetto, ma in realtà molto concentrato sui singoli individui.
Da questo punto di vista, Encanto è prima di tutto una lezione di empatia, una spinta a comprendere gli sforzi e i dubbi di coloro che ci circondano. Il film è un invito a tendere la mano, piuttosto che giudicare ciecamente.

Tutto ciò, naturalmente, espresso in modo comprensibile per i più piccoli. Ma, visto come vanno le cose ultimamente, anche agli adulti un breve ripassino di umana decenza non è che farebbe male, eh.

Il film fa anche un sorprendente primo passo nel discutere la salute mentale dei personaggi, mostrando le difficoltà dei membri della famiglia a convivere con le aspettative, della matriarca e dell’intero villaggio, trattando soprattutto i meccanismi di difesa messi in atto per sopravvivere in un ambiente esigente e, a tratti, decisamente tossico.

E se questi momenti vengono affrontati in maniera esilarante, ciò non rende il messaggio che viene trasmesso meno potente.

Anche perché negli anni abbiamo visto ben poche cose potenti come la colonna sonora di Encanto, che ha una tale capacità di arpionarsi al tuo cervello che Let it go scansate. E servono letteralmente 5 secondi di una canzone per capire che, dietro a questi nuovi tormentoni (nel vero senso della parola), c’è lui: il solo, l’unico Lin-Manuel Miranda; già la nostra vita era un pendolo oscillante tra Hamilton, Moana, In the Heights e ora questo. Vi sfidiamo ad ascoltare We don’t talk about Bruno e non entrare in fissa, peggio delle stazioni radiofoniche con gli Wham! a Natale.

Sì, Dos Oruguitas ti fa versare lacrime che non sapevi di avere, ma vuoi mettere 3 minuti in cui tutti cantano di come non vogliono cantare di qualcuno, cantando di quella persona?

Parlando delle voci, finalmente abbiamo una versione italiana degna di questo nome, che ci riporta ai tempi in cui il doppiaggio era orgoglio nazionale e con delle canzoni che restano fin troppo orecchiabili anche se tradotte (Standing Ovation ad Alessia Amendola per La Pressione Sale. We are impressed, girl).
Inoltre, con questo film, possiamo ufficialmente affermare che, dopo Mika, abbiamo adottato anche Álvaro Soler, seguendo il mantra di aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più.

Parlando delle animazioni, non pensiamo di dover essere noi a ricordare al mondo le capacità tecniche della Disney, ormai in grado di fare qualsiasi cosa. Con Encanto vogliono proprio mortificare la concorrenza con una resa visiva e delle palette colori che è spettacolare.

Sono arrivata alla fine del film conscia di avere una nuova ossessione e con il desiderio di avere una Casita nella mia vita, altro che Alexa.

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